De Gasperi, tra storia e profezia. Note a margine della Lectio degasperiana di mons. Ivan Maffeis

Lunedì, 19 Agosto, 2024
Vent’anni fa, in occasione del 50.mo anniversario della morte di Alcide De
Gasperi, per iniziativa dell’Istituto Luigi Sturzo di Roma, nasceva la Lectio
intitolata allo statista trentino, affidata a uno studioso di riferimento come
Pietro Scoppola. Sede dell’appuntamento il paese di Pieve Tesino, dove De
Gasperi nacque nel 1881, e a pochi chilometri da Sella Valsugana, dove morì il
19 agosto 1954.
Vent’anni che hanno visto mutare profondamente i contesti culturali e politici,
così come le motivazioni e le modalità organizzative con le quali questo evento
era nato. Dopo le prime edizioni, la lectio è stata organizzata dalla Fondazione
trentina Alcide De Gasperi (ente strumentale della Provincia autonoma e del
suo governo), che ogni anno ha affidato a relatori più o meno noti, di diversa
estrazione e livello, la trattazione di alcuni temi legati alla storia trentina,
italiana ed europea in rapporto alla figura dello statista, alla cultura politica che
lo animava o a quelle con cui entrò in contatto ed ebbe a confrontarsi.
Quest’anno, in occasione del 70esimo anniversario, il relatore è stato
monsignor Ivan Maffeis, arcivescovo di Perugia Città della Pieve, con una
relazione dal titolo “Profezia degasperiana. Il deserto della democrazia e la
rinascita della politica”.
 
Un’analisi, quella del presule di origine trentina, che con lucidità, profondità e
dovizia di riferimenti a scritti, discorsi e realizzazioni, ha cercato di leggere in
modo sapienziale l’azione concreta dello statista. Una lettura che ne sottolinea
il carattere profetico, capace di riportare l'Italia fuori dal deserto morale e
materiale in cui si era smarrita, e di tracciare una rotta politica e di governo
che aveva come punti cardinali la pace, la libertà, la democrazia e la
collaborazione solidale tra popoli e nazioni.
“Tra le figure bibliche – ha esordito don Ivan - che attraversano il tempo senza
perdere il loro smalto, c’è senz’altro quella del profeta. Il profeta affascina per
la sua libertà da ogni forma di potere. Per il suo essere uomo ancorato al
presente. Per la sua capacità, la sua intuizione, nel leggere e nell’interpretare
le vicende sociali, politiche, economiche e religiose in cui è coinvolto. Per la
forza del suo esempio e della sua azione, che gli deriva dalla fedeltà alla parola
e all’azione di Dio, vivente nella storia.”
 
Al cuore del suo intervento alcuni passaggi. Il primo riguarda la grandezza di
De Gasperi, che non dovrebbe misurarsi “solo con quello che ha fatto come
statista, ma soprattutto per la testimonianza che ci ha offerto. Come gli antichi
profeti, ha indicato una strada e un metodo politico che vanno oltre la sua
stessa esistenza”.
Un’affermazione che contiene un richiamo a quanto Paolo VI (il Giovanni
Battista Montini amico di De Gasperi) avrebbe dichiarato nel 1974 al Pontificio
Consiglio dei laici:” L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che
i maestri”.
“Per De Gasperi – sottolinea poco oltre don Ivan, in uno dei suoi numerosi
rimandi alla condizione odierna – la politica è l’unica dimensione dove la verità
e le possibilità umane si confrontano alla pari. Sa che la vera politica è un
sistema complesso che non tollera a lungo semplificazioni brutali“. Rammenta
poi che per lo statista trentino “il fine della lotta politica non fosse di assicurare
il Paradiso sulla terra, ma la dignità di ogni persona e la possibilità di
ricomprendersi in un orizzonte di comunità”.
Un primo paragone proposto dal vescovo Maffeis è l’accostamento con la figura
del profeta Gedeone, che rifiutando la proposta di diventare re, dimostra tutta
la propria fede nella Provvidenza (richiamata da autori cari a De Gasperi come
Dante, Manzoni Rosmini): “Per lui sopra ogni autorità, ogni regno o repubblica,
sta la Provvidenza divina. Al credente spetta corrispondere con la libertà e la
responsabilità di iniziativa: bisogna lavorare, produrre, meritare il benessere.
Perché non si può ridistribuire miseria, ma solo ricchezza onesta. E chi
pretende di pianificare tutto dall’alto crea mostri e comprime l’intelligenza e
l’indipendenza umane”.
 
La profonda spiritualità biblica e la confidenza di De Gasperi con le Scritture
hanno portato il relatore ad accostarne la figura con quella di Mosè, profeta
capace di guidare senza imporre. Un particolare che suona da monito per la
politica dei nostri tempi, dove il valore della democrazia risulta sempre più
diluito dalla tentazione dell’autoritarismo. Il protagonista dell’Esodo conobbe –
al pari di De Gasperi – la sfiducia e l’ostilità del proprio popolo, così come non
riuscì ad entrare nella terra promessa, rendendo la propria opera puro servizio.
La sua persona attirò, accanto ai più solenni attestati di stima, anche giudizi
malevoli e sommari, ostilità e censure. Un destino tipico dei profeti di ogni
tempo …
L’attenzione alla dimensione sociale e una vocazione politica come quella di De
Gasperi hanno la propria fonte dalle opzioni fondamentali e dai valori profondi
che muovono la coscienza umana cristianamente ispirata: si ispirano al mistero
dell’incarnazione del Verbo, attingono al modello dell’amore trinitario,
confidano nella dignità di ogni uomo in quanto figlio di Dio.
I profeti dell’Antico Testamento – in particolare Amos e Geremia – avevano
coscienza che la giustizia è il fondamento su cui poggia l’intera realtà e
denunciavano il suo sovvertimento quando la vita sociale è segnata da rapporti
di dominio e di sfruttamento. Oppure – come Samuele, Ezechiele, Isaia –
svolgevano la funzione di vedette, veggenti, sentinelle, capaci di vedere più
lontano nella prospettiva del bene dell’umanità e senza il filtro della
convenienza. Come Giona raccolse l’invito di Dio “Alzati, vai a Ninive la grande
città” (Gn 3,2), De Gasperi comprese il dovere di uscire dal tempio, senza
restare ad attendere che qualcuno entrasse, ma immergendosi in una società
complessa e divisa, confidando che i tratti costitutivi del cristianesimo
potessero fungere da enzima per orientarla al bene comune. Al posto del
tempio, propose di piantare tende, come nomadi in cammino nella storia
dell’umanità, condividendone problemi e speranze. Senza cedere alla
tentazione di costruire cittadelle fortificate o una terra promessa nel dramma
della storia, mostrando nel quotidiano – con semplicità, con ospitalità, con
misericordia, nella consapevolezza di ciò che è limitato e provvisorio – che il
Vangelo può essere lievito di una società nuova.
 
L’azione politica e di governo che ha consacrato De Gasperi come statista di
livello assoluto si situa tra la fine della seconda guerra mondiale e la prima
metà degli anni Cinquanta. Anni connotati dall’immagine della “cortina di ferro”
(coniata da Winston Churchill), simbolo della “guerra fredda” che avrebbe
diviso per più di quarant’anni buona parte del mondo in due blocchi
politicamente e militarmente contrapposti, causa ed effetto del clima di
permanente tensione a livello planetario.
 
Ma è anche un periodo che decretò il fallimento dei riferimenti di cultura
politica maggioritari nei decenni precedenti e che produsse riflessioni di
enorme importanza a livello filosofico, giuridico e istituzionale, ispirate a un
nuovo umanesimo dedicato alla rifondazione dottrinale dei rapporti politici, dei
sistemi di diritto (nazionali e internazionali) e alla ricostruzione delle istituzioni
democratiche. Una stagione e una temperie culturale che generarono grandi
progetti e trasformazioni negli assetti politici a livello globale e nelle istituzioni
sovranazionali, allo scopo di impedire l’insorgenza di nuove forme di
totalitarismo e di assicurare un futuro di pace. Nuovi modelli di stato e dei
rapporti internazionali, nuova immagine della cittadinanza, nuove concezioni
dell’individuo e della dignità della persona, delle comunità e dei corpi sociali,
differenti dalle tradizionali concezioni e visioni liberali. Le costituzioni
democratiche del dopoguerra si ispirarono alle nuove elaborazioni teoretiche in
tema di diritti - civili, politici e sociali - che generavano sistemi di norme e
infrastrutture istituzionali per ogni settore della vita civile. Nasceva un sistema
basato su un corpus di principi e di norme aventi carattere universale, che
presuppone anche la limitazione della sovranità degli stati, la relatività di
concetti come sovranità e confine, l’integrazione politico-istituzionale ed
economica.
La situazione politica (che si riverberava a vari livelli su moltissime dimensioni
del vivere umano, sino alla più intima sfera esistenziale e spirituale) in cui si
trovava il mondo in quel periodo può, meglio di altre, raffigurare l’enorme
controsenso che poteva essere colto in ogni discorso che avesse come
riferimento la pace e l’unità. Eppure, quella congiuntura storica dominata e
minacciata dal pericolo nucleare, che rappresentava un “crinale apocalittico”
(immagine evocata da Thomas Merton e Giorgio La Pira), imponeva all’umanità
una scelta fra la distruzione globale e la pace millenaria, tra la dissoluzione
della famiglia umana e la fioritura di una civiltà all’insegna della fratellanza
universale. La parabola di Isaia – “Spezzeranno le loro spade per farne aratri,
trasformeranno le loro lance in falci; una nazione non alzerà più la spada
contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra"(Is 2,4) –
rappresentava la speranza di una convergenza planetaria per l’edificazione di
un mondo di pace, ma era collocata dal profeta “alla fine dei giorni” (2,2). Dal
“sentiero di Isaia” andavano eliminate le pesanti e ingombranti “pietre di
inciampo” (Rom 9,32) depositate dall’uomo nel corso della storia; per tracciare
quel sentiero si doveva imparare ad abbattere i muri e a costruire i ponti.
In quegli anni e in quegli scenari così complessi, uno degli esempi più visionari
e – al tempo stesso - concreti fu il progetto di unità europea. Sulle ceneri della
guerra mondiale, grazie alla volontà di pace di politici illuminati come De
Gasperi, nasceva l’intento di superare le antiche conflittualità che avevano
contraddistinto gli ultimi secoli della storia del vecchio continente.
 
Il genio politico di De Gasperi è stato messo anche a servizio del progresso
morale e civile della società, riuscendo a tradurre in pratica il principio di
fraternità nella sfera più ampia dei rapporti umani, ovvero quella politica. Un
principio che in età moderna era stato consacrato dalla Rivoluzione francese,
ma velocemente rimosso dalla riflessione politologica successiva (anche
novecentesca), soprattutto in quanto possibile generatore di conflitto in merito
a specifiche identità e interessi particolari. Leggere in chiave sapienziale la
figura e l’opera di De Gasperi può aiutare al recupero di questa dimensione nel
contesto politico, applicando il principio di fraternità ai fini della costruzione di
un mondo nuovo, con un decisivo anticipo rispetto alla riflessione teoretica che
sarebbero maturate alla fine del Novecento e all’inizio del nuovo millennio
(anche all’interno del magistero della Chiesa all’epoca di Papa Francesco).
Fraternità è l’elemento che si legge in filigrana nella conclusione della Lectio di
don Ivan: “Oggi De Gasperi ci direbbe che non è con il cinismo che potremo
abitare questo nostro tempo. Non è con la critica e il lamento che costruiremo
un mondo migliore. È semmai con la profezia che riusciremo a risvegliare le
coscienze e coinvolgerle nella dedizione a una causa epocale, nell’ambizione di
tendere insieme a una terra promessa, a una patria europea. Per questa
profezia degasperiana rimane ancora la domanda e lo spazio”.
Vent’anni fa Pietro Scoppola così concludeva la prima Lectio degasperiana:
“Ricordare De Gasperi è certamente un ritorno a un passato lontano; ma è
anche uno stimolo fecondo per guardare al nostro presente con occhi critici più
avvertiti, più esigenti, più severi. Non si tratta di attualizzarlo
strumentalmente, ma di cogliere proprio nella coscienza della distanza che ci
separa da lui il senso di una presenza viva e di una sfida.”
Una sfida da decifrare, da cogliere, da vivere. Da cittadini del mondo e da
credenti, fedeli a Dio e all’uomo …