Il lungo cammino dell’ Autonomia differenziata

  Argomenti 2000 rete regionale Calabria

Incontro pubblico del 26 giugno 2024

 

SOMMARIO: Premessa – 1.  Mancata attuazione dell’autonomia differenziata e pre-intese delle Regioni – 2. Il divario economico – 3. Criticità nell’attuazione dell’autonomia differenziata – 4. I vantaggi del decentramento amministrativo e legislativo e la sfida delle regioni virtuose – 5. Il faro della Costituzione e l’unità del Paese – 6. Un’autonomia “aperta” e accentuata - Conclusioni

 

Premessa

 

Con l’approvazione, il 19 giugno scorso, del d.d.l. A.C. 1665 si è data attuazione:

  1. a quanto previsto dall’art. 116 della Costituzione co. 3, dopo le modifiche del 2001 apportate dalla riforma costituzionale del Titolo  V, Parte II;
  2.  al principio di differenziazione[1] , che pare, comunque, abbia  connotati più propriamente “amministrativi”  (art. 118 co. 1 Cost.).

In questi lunghi anni il tema di “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomiaad altre regioni (c.d. “specializzate”) è stato relegato per lo più nel Nord del Paese, dove “l’autonomismo” è maggiormente sentito, perché forte è la determinazione di aumentare la capacità della spesa pubblica su questo territorio.

Ci ci domanda, tuttavia, come mai l’autonomia territoriale, così importante nel percorso storico della nostra Repubblica, sia oggi diventato un tema contrastato[2].

Il vento autonomistico avviato, in particolare, con la riforma costituzionale del 2001 e con il Testo unico delle leggi sull’ ordinamento degli enti locali (d. lgs. 18 agosto 2000 n. 267), deve fare oggi i conti con i problemi di bilancio degli enti locali e con i servizi pubblici locali che non sono uniformi sul territorio nazionale[3].

Ecco perché, anche per questi motivi, si è tardato a dare seguito al trasferimento di ulteriori funzioni alle Regioni.

 

  1. Mancata attuazione dell’autonomia differenziata e pre-intese delle Regioni

 

Scorrendo rapidamente la storia parlamentare degli anni  successivi al 2001 si nota che la proposta di riforma costituzionale del 2006 prevedeva la cancellazione dell’art. 116, co. 3 Cost., perché erano sorti dubbi di attuazione a riguardo; la successiva proposta di riforma costituzionale del 2016 si limitava, invece, a consentire l’autonomia differenziata solo alle Regioni ordinarie in equilibrio di bilancio. Entrambe le proposte di riforma costituzionale, come sappiamo, non furono approvate dai referendum.

Ma diverse Regioni, nel frattempo, si sono comunque adoperate per accedere a tale forma di autonomia[4].

 

  1. Il divario economico

 

Il divario del PIL pro-capite fra le regioni del centro-Nord e quelle del Mezzogiorno, inutile negarlo, è il centro della questione e il fatto che la percentuale delle risorse pubbliche assegnate/PIL regionale risulti favorevole alle aree svantaggiate[5] è soltanto la conseguenza di un divario economico che ha cause diverse, da approfondire, ma certamente da non trascurare da parte dello Stato; la recente legge, con invarianza finanziaria, va incontro, pertanto, primariamente, alle esigenze dei territori economicamente avvantaggiati, che attraggono così le maggiori necessarie risorse finanziarie, umane e strumentali.

Questa diversa allocazione di risorse sarà sostenibile dall’economia nazionale?

Al momento non è possibile rispondere, perché occorre preliminarmente dare corso a numerose attività di ricognizione dei livelli essenziali di prestazioni (LEP) e dei relativi costi e fabbisogni standard[6], da assicurare anche alle Regioni non richiedenti l’autonomia differenziata; la determinazione dei LEP è condizione necessaria affinché il Governo possa trasferire le funzioni oggetto delle intese alle Regioni stesse[7].

Quindi, mentre il quadro giuridico sembra ora delineato, il quadro economico nazionale presenta diverse criticità, che  già la Banca d’Italia[8] e l’Ufficio parlamentare di bilancio[9] hanno evidenziato, oltre a numerosi esperti auditi nel corso dell’iter di approvazione del provvedimento. In questo scenario si inserisce il federalismo fiscale regionale (d. lgs. 6 maggio 2011, n. 1689) che - anche per le Regioni a statuto ordinario, con i decreti attuativi in corso di definizione, e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del  sistema tributario - dispone la compartecipazione al gettito di tributi erariali riferibile al territorio[10], secondo quanto previsto dall’art. 119 Costituzione (principio di territorialità delle entrate). La legge dell’autonomia differenziata, di cui ci stiamo occupando, all’art. 8 n. 2 prevede che “le aliquote di compartecipazione” al gettito erariale, precedentemente definite dalle Intese, possono essere variate al verificarsi di un eccesso o di una carenza di risorse dovute alla variazione dei bisogni ovvero all’andamento del gettito. Secondo questa impostazione non vi dovrebbero essere, dunque, sottrazione di risorse, né per il Centro-Nord, né per il Mezzogiorno con l’attuazione dell’autonomia differenziata.

 

  1. Criticità nell’attuazione dell’autonomia differenziata

 

Nella nota pubblicata da “Argomenti 2000 rete regionale Calabria”[11], nei giorni scorsi, evidenziavamo le criticità presenti nel testo, ora deliberato, che si possono così riassumere:

  • Assenza di indicazione di criteri selettivi (ad esempio, demografici, organizzativi, finanziari); essi  sarebbero stati necessari per conoscere anticipatamente  le priorità dello Stato nel trasferimento di funzioni alle Regioni.
  • Il rischio di gare istituzionali tra organi costituzionali quali sono le Regioni; il nostro modello costituzionale regionale rimane cooperativo, perché tende al rafforzamento di tutto lo Stato e non solo di alcuni territori (la società civile è già ampiamente competitiva).
  • Il ruolo (sembra) solo consultivo delle Camere nella procedura di approvazione dell’intesa Governo-Regioni; mentre è proprio nella sede parlamentare che si confrontano gli interessi nazionali.
  • La determinazione (e la verifica sul territorio) dei LEP, sebbene il testo preveda che i decreti debbano definire anche le procedure e le modalità operative per monitorare l’effettiva garanzia in ciascuna Regione dell’erogazione dei LEP (art. 3, n. 4).
  • Possibili differenziazioni giuridiche ed economiche fra le Regioni con aggravio per le imprese e i cittadini, salvo il previsto e auspicabile intervento sostitutivo del Governo[12].
  • Pericolo di ulteriore emarginazione economica della Calabria e di vedere compromessa l’offerta dei servizi pubblici; l’accollo di ulteriori materie, nella nostra  Regione (non l’unica) gravata da un piano di rientro sanitario, appare, allo stato, improbabile.

A tali considerazioni si potrebbero aggiungere osservazioni più ampie sulla natura di una riforma che, per la vastità delle materie interessate[13], avrebbe richiesto, forse, l’approvazione non di una legge ordinaria ma di una legge costituzionale (secondo l’opinione già espressa dai parlamentari durante la discussione alla Camera). Infatti la legge ordinaria, secondo tali opinioni, correrebbe il pericolo di essere modificata tacitamente, anche dalle leggi di approvazione delle Intese con le Regioni, rendendo così i  vincoli previsti superabili.

Vi è, in ogni caso, un programma di spostamento di risorse pubbliche a cui tutte le Regioni, le autonomie locali e i cittadini devono prepararsi adeguatamente, anche se non direttamente coinvolti.

  1. I vantaggi del decentramento amministrativo e legislativo e la sfida delle regioni virtuose

I vantaggi del decentramento amministrativo e legislativo che i proponenti il disegno di legge hanno evidenziato e cioè la migliore efficacia dell’azione amministrativa dovuta alla prossimità dell’ente al territorio ed il riconoscimento dell’autonomia dell’ente, che è pre-esistente alla Costituzione e alla Repubblica (secondo questa impostazione), dovrebbero in ogni caso coordinarsi con le funzioni generali dello Stato che deve sì privilegiare sempre le potenzialità del territorio – anche dell’iniziativa privata – ma senza venir meno ai principi di uguaglianza, di coesione sociale e di promozione delle aree più svantaggiate[14].

Ma, affrontando un tema così problematico, qual’ è quello di un’autonomia regionale asimmetrica, non possiamo non raccogliere la sfida che proviene dai dati delle regioni virtuose, anche se, dalla loro costituzione, siamo stati abituati a vedere le Regioni su un piano paritario.

Vari indici di efficienza di molte Regioni del Centro-Nord espongono una realtà amministrativa performante[15]; tuttavia è corretto, nella comparazione dei risultati, tenere conto delle situazioni di partenza. Negli anni ’70 del ventesimo secolo la nostra Regione era priva di infrastrutture fondamentali: porti, aeroporti, università, reti di trasporto (ancora deficitarie), reti del gas, ospedali, scuole, strutture turistiche ricettive. Purtroppo, anche ora che la situazione è notevolmente migliorata, il flusso di lavoratori verso altre aree del Paese o verso l’estero non è cessato e il tasso di occupazione, lievemente in recupero al 44,6%, rimane distante 17 punti percentuali dal dato italiano, mentre cala la popolazione in età lavorativa[16]. Questo, per quanta riguarda il tessuto economico produttivo, mentre l’organizzazione della vita amministrativa, in generale da migliorare, risente delle fragili condizioni finanziarie degli enti locali calabresi, dovute alla  minore capacità fiscale e alla minore velocità di riscossione.

 

  1. Il faro della Costituzione e l’unità del Paese

 

Per i motivi esposti, l’efficientismo che entusiasma diversi protagonisti della scena politica non dovrebbe far dimenticare la comune appartenenza ad un “programma costituzionale”, faro del Paese, che ci vede tutti coinvolti nella continua costruzione di una società fondata su valori condivisi, oggi multietnica e pertanto inevitabilmente bisognosa di integrazione; processo quest’ultimo appena avviato e ancora incerto, ma che interroga ancora di più il nostro modello di società che deve rimanere, credo, unitario.

In breve, le politiche territoriali non dovrebbero sostituire l’azione dello Stato che, proprio perché non è legato ad un territorio particolare, promuove il benessere di tutti creando le condizioni di uno sviluppo sostenibile, equo e solidale. Pensiamo solo alle alluvioni che hanno colpito recentemente diverse regioni del Nord Italia o ai terremoti che purtroppo scuotono il Nord, il Centro e il Sud della Penisola: come sarebbe difficile rialzarsi da soli in tale circostanze senza la solidarietà della nazione (con il necessario apporto anche delle regioni meridionali)! Inoltre su diverse materie – quali l’istruzione, la sanità, le fonti energetiche, le infrastrutture, i trasporti, solo per citarne alcune – l’azione di promozione dello Stato è necessaria e fondamentale per assicurare sempre standard competitivi e unitari di maggiore efficacia, misurandosi con la migliore ricerca internazionale, in uno scambio continuo di informazioni che coinvolge gli Stati e i mercati sparsi in tutto il mondo.

 

  1. Un’ autonomia “aperta” e accentuata

 

Da quanto, solo, accennato, emerge un quadro che non vuole negare la legittima autonomia degli enti territoriali; anzi, essa dovrebbe essere accentuata, ma dirigendosi nella direzione opposta, cioè aprendosi al vasto territorio, anche al fine di diminuire il divario economico tra le Regioni, nell’interesse di tutti, e cioè esse ricercando:

1.-Forme di intese e di collaborazione interregionale[17]; ad esempio durante la recente pandemia ha suscitato interesse la collaborazione fra diverse università (comprese l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e l’Università Magna Graecia di Catanzaro) per il monitoraggio dei modelli organizzativi di risposta al Covid-19, in sei regioni del sud Italia[18];

2.- Un sostegno delle imprese più avanzate alle imprese del Sud, coordinato anche dagli enti territoriali, per continuare il sorprendente avvio di “distretti produttivi” nella nostra regione; anche in questo campo vi sono delle realtà avviate, per esempio, nell’area cosentina – nel settore agroalimentare - che fanno ben sperare; ricordiamo che il presidente delle Repubblica on. Sergio Mattarella, in occasione della festa del lavoro di quest’anno, ha visitato queste realtà industriali tra la festosa e commossa accoglienza di centinaia di operai[19];

Secondo la Banca d’Italia, infatti “La rapida espansione di un gruppo, anche ristretto, di piccole e medie imprese può contribuire in modo significativo alla crescita economica e alla creazione di nuova occupazione; individuando le caratteristiche di tali aziende, è possibile formulare politiche pubbliche volte a incentivarne la nascita, favorendo così lo sviluppo di un territorio[20].

3.-Forme di partecipazione e di integrazione della società civile nelle istituzioni politiche per scongiurare la disaffezione dei cittadini  dagli organi rappresentativi delle comunità locali; pertanto  non tanto allargare le materie di competenza da gestire nel territorio, quanto estendere la partecipazione popolare alle decisioni del bene comune nelle nostre città, anche attraverso nuovi strumenti normativi che Argomenti 2000 insieme alle Acli hanno recentemente avviato[21];

4.-Un rafforzamento del dialogo diretto con l’Unione Europea, anche delle autonomie locali, per rimarcare la specificità dei nostri  territori, per proporre progetti - nel nostro caso miranti soprattutto ad attrarre sui nostri territori, soprattutto, i giovani calabresi,  che altrove, maggiormente nel resto d’Europa, realizzano i loro sogni  - anche attraverso la creazione di “distretti di innovazione”, i soli, forse, capaci di entusiasmare le nuove generazioni.

 

Conclusioni

 

La legge dell’autonomia differenziata è stata approvata con accese manifestazioni dell’opposizione in Aula e nelle piazze; il dibattito politico prosegue, ora, con la riforma costituzionale del “premierato”, che prevede l’elezione diretta del presidente del Consiglio dei ministri, mentre già si discute di consultazioni referendarie per entrambe le materie.

L’augurio è che il confronto, come già è accaduto nel recente passato con altri referendum, si svolga in mondo serrato, ma civile, considerando l’unità del Paese come bene assoluto da salvaguardare.

Testo a cura di Luciano Rocca


[1] Tale principio apparve nel nostro ordinamento nel 1997 e sembra che abbia connotati più propriamente “amministrativi”, in considerazione “delle diverse caratteristiche, anche associative, demografiche, territoriali e strutturali degli enti riceventi” (cfr. art. 4 n. 3 lett. h, Legge 15 marzo 1997, n. 59, Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa); anche nell’art. 118 co. 1 Cost. si parla di “funzioni amministrative” da attribuire.

[2] Il riconoscimento delle autonomie locali, già previsto dalla Costituzione  (art. 5), che ha superato la concezione centralista ed ottocentesca dello Stato, fu attuato gradualmente nell’ordinamento repubblicano; da un’iniziale controllo di legittimità e di merito sugli atti amministrativi degli enti locali attraverso un’organo regionale (Co.Re.Co.), che iniziò ad operare soltanto nel 1971 quando fu attuato l’ordinamento regionale, si è passati alla sua soppressione con la riforma costituzionale del 2001; tale riforma  diede impulso al sistema delle autonomie, elencando il Comune al primo posto tra gli enti locali quale radice territoriale (art. 114 co. 1 Cost.), e prevedendo un elenco tassativo di materie di competenza esclusiva dello Stato (art. 117 co. 2 Cost.), stabilendo, inoltre, che “Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato” (art. 117 co. 3 Cost.). La funzione dello Stato nel rapporto con le autonomie locali si svolge oggi, più che con un controllo sugli atti amministrativi,  attraverso un monitoraggio e un  “controllo di gestionegeneralizzato, con la riduzione dei costi, anche con taglio della spesa pubblica,  e la correzione di disfunzioni,  per far conseguire agli enti locali  gli obiettivi fissati nei loro programmi politici.

[3]  Il decreto legislativo 23 dicembre 2022, n. 201, “Riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica” è intervenuto per il superamento della frammentazione organizzativo-gestionale, imponendo l’organizzazione dei servizi all’interno di ambiti territoriali ottimali (ATO); v. anche “Rapporto sul benessere equo e sostenibile” ISTAT, 2022 , in particolare il capitolo 12, “Qualità dei servizi”, p. 8: https://www.istat.it/it/files/2022/04/12.pdf

[4] Nella scheda del Servizio studi della Camera dei deputati del 28 settembre 2022 si legge: “Iniziative, in proposito, sono state intraprese da Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna già dal 2017. Le Regioni Lombardia e Veneto hanno svolto il 22 ottobre 2017, con esito positivo, due referendum consultivi sull'attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia. La Regione Emilia- Romagna si è invece attivata, su impulso del Presidente della Regione, con l'approvazione da parte dell'Assemblea regionale, il 3 ottobre 2017, di una risoluzione per l'avvio del procedimento finalizzato alla sottoscrizione dell'intesa con il Governo richiesta dall'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.

Il 28 febbraio 2018, il Governo all'epoca in carica ha sottoscritto con le regioni interessate tre distinti accordi preliminari che hanno individuato i principi generali, la metodologia e un (primo) elenco di materie in vista della definizione dell'intesa.

Gli Accordi preliminari del 28 febbraio 2018 prevedevano (art. 2 delle Disposizioni generali) che l'intesa abbia una durata decennale, potendo comunque essere modificata in qualunque momento di comune accordo tra lo Stato e la Regione, "qualora nel corso del decennio si verifichino situazioni di fatto o di diritto che ne giustifichino la revisione". In tutti e tre gli Accordi preliminari le materie di prioritario interesse regionale oggetto del negoziato nella prima fase della trattativa sono le seguenti: Tutela dell'ambiente e dell'ecosistema; Tutela della salute; Istruzione; Tutela del lavoro; Rapporti internazionali e con l'Unione europea.

Tutte e tre le regioni si sono riservate la possibilità di estendere il negoziato - in un momento successivo - ad altre materie.

L'Accordo preliminare con la Lombardia, a differenza di quelli con l'Emilia-Romagna e con il Veneto, fa espressa menzione - quale oggetto di un eventuale successivo accordo - di materie di interesse delle autonomie locali, quali: il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; il governo del territorio.

Gli Allegati (che costituiscono parte integrante e sostanziale degli Accordi preliminari) hanno ad oggetto le materie in relazione alle quali alle regioni sono conferite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia amministrativa e legislativa. Resta comunque aperta la possibilità che il negoziato si estenda ad ulteriori profili delle materie indicate e ad altre differenti materie (art. 6). Ciascun allegato riguarda una materia a cui si aggiunge un Addendum sui rapporti internazionali e con l'Unione europea.

Con l'inizio della XVIII legislatura, tutte e tre le regioni con le quali sono state stipulate le c.d. pre-intese hanno manifestato al Governo l'intenzione di «ampliare il novero delle materie da trasferire» (Camera dei deputati, Interrogazione a risposta immediata n. 3-00065, 11 luglio 2018). Nel frattempo, altre regioni, pur non avendo firmato alcuna pre-intesa con il Governo, hanno espresso la volontà di intraprendere un percorso per l'ottenimento di ulteriori forme di autonomia (sono pervenute ufficialmente al Governo le richieste di Piemonte, Liguria, Toscana, Umbria, Marche e Campania).

Sono in tal modo riprese le trattative tra le tre regioni e i Ministeri interessati ratione materiae nell'ambito dell'attività di coordinamento in capo al Ministro pro tempore per gli affari regionali”. Il resoconto riportato è emblematico della notevole attività già intrapresa da diverse Regioni, in:

https://www.camera.it/temiap/documentazione/temi/pdf/1104705.pdf

[5] È utile, a riguardo, il grafico di p. 7 contenuto in “La distribuzione della spesa pubblica per macroregioni” che evidenzia, ad esempio, la Calabria, in cui la spesa pubblica è l’80% del prodotto regionale, rispetto alla Lombardia in cui la spesa pubblica è poco più del 33% (media 2014-2016 percentuale del PIL): https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-Distribuzione%20spesa.pdf

[6]È istituita, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, la Cabina di regia per la determinazione dei LEP […] sulla base delle ipotesi tecniche formulate dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard, […] elaborate con l’ausilio della società Soluzioni per il sistema economico – SOSE Spa, in collaborazione con l’Istituto nazionale di statistica e con la struttura tecnica di supporto alla Conferenza delle regioni e delle province autonome presso il Centro interregionale di studi e documentazione (CINSEDO) delle regioni” (art. 1 commi 792, 793 Legge 29 dicembre 2022, n. 197.

Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025).

[7] Art. 4 n. 1, d.d.l A.C. 1665.

[10] La legge di bilancio per il 2023 (legge n. 197 del 2022, art. 1, comma 788) ha fissato la data del 2027 per l’attuazione del federalismo fiscale: https://temi.camera.it/leg19/temi/la-finanza-regionale.html

[12] Il Governo, ai sensi dell’art. 120 comma 2 Cost., può sempre sostituirsi a organi delle Regioni e degli enti locali  “quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali”.; questa disposizione è stata ripresa dalla legge dell’autonomia differenziata (art. 11, n. 3) “È fatto salvo l’esercizio del potere sostitutivo del Governo ai sensi dell’articolo 120, secondo comma della Costituzione”.

[13] La dottrina, sul punto, ritiene che le condizioni particolari di autonomia dovrebbero riguardare “ipotesi molto precise”, anche alla luce del parere “di un importante documento del Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi (Dagl) del 19 giugno 2019 [che] evidenzia seri dubbi di costituzionalità [delle pre-intese] in base alla considerazione che, ai fini dell’attuazione dell’art. 116, comma 3, Cost., «vanno dimostrati gli interessi peculiari da soddisfare per ogni singola regione e che tendenzialmente non sembrano poter concretamente coincidere con tutte le materie», Giovanni Tarli Barbieri, “Verso un regionalismo differenziato o verso un regionalismo confuso? appunti sulla (presunta) attuazione dell’art. 116, comma 3, cost.”, p. 13, in: https://www.osservatoriosullefonti.it/mobile-saggi/fascicoli/2-2019/1444-regionalismo-differenziato/file

[14]Il decentramento è quello che abbiamo oggi, per esempio, in materia di sanità. La chiave della cassaforte è solidamente in mano allo Stato centrale che distribuisce risorse di anno in anno. Se le condizioni della finanza pubblica nazionale non lo consentono, il Fondo sanitario non viene aumentato. […] Questo sistema è forse l’unico possibile quando la nazione ha un serio problema di finanza pubblica e non può rischiare che le Regioni determinino aumenti eccessivi di spesa”, Fonte, Osservatorio CPI,  “Autonomia differenziata, il rischio dello Stato arlecchino”, 19 giugno 2024, p. 6, in: https://osservatoriocpi.unicatt.it/ocpi-pubblicazioni-autonomia-differenziata-il-rischio-dello-stato-arlecchino

[16] L’economia della Calabria. Rapporto annuale della Banca d’Italia, giugno 2024, p.24: https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/economie-regionali/2024/2024-0018/2418-calabria.pdf

[20] L’economia della Calabria. Rapporto annuale della Banca d’Italia, giugno 2024, p.15: https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/economie-regionali/2024/2024-0018/2418-calabria.pdf

 

Data: 
Sabato, 6 Luglio, 2024