rcuito che fa confusione oggi tra talento, merito, redistribuzione e contrasto alla povertà.
Un problema della nostra società, come sottolineato più volte da Luigino Bruni, sta nella confusione tra talento e merito. Confusione che nemmeno uno dei più grandi pensatori liberali come Buchanan ha mai fatto. Buchanan ricorda che i risultati nella vita dipendono da quattro fattori principali: fortuna, talento ereditato dalla nascita, scelte individuali e sforzo personale. Il talento non ha niente a che fare con il merito perché ereditato dalla nascita. L’unica cosa che può essere eventualmente premiata perché meritevole è lo sforzo. La parabola dei talenti capisce molto bene questa differenza. La distribuzione iniziale dei talenti è diseguale (cinque, due, uno) e chi ne ha cinque non ha nessun merito particolare rispetto a chi ne ha uno (ha solo ricevuto un dono diverso). I primi due (con cinque e due talenti rispettivamente) li moltiplicano, quello che ne ha uno per paura lo sotterra e non genera talenti aggiuntivi. I primi due ricevono un riconoscimento il terzo viene rimproverato. Il problema del terzo non è avere in partenza meno talenti degli altri, ma il non essersi messo in gioco (anche nella parabola ciò a cui si guarda è lo sforzo e non la dotazione inziale).
La confusione tra talento e merito rischia di essere alla base di una legittimazione della povertà e delle diseguaglianze (ancora Luigino Bruni). Qualche hanno fa un noto lavoro empirico di Alesina sottolineava come la percentuale di coloro che affermavano che il povero fosse da biasimare (responsabilità sua e non della società) fosse molto più alta negli Stati Uniti che in Europa, probabilmente perché i primi molto più figli della mentalità calvinista che non fa altro che riprendere la prima visione retributiva delle origini dell’Antico Testamento (il ricco è benedetto da Dio, il povero no). La visione neotestamentaria (nell’attualizzazione teologica più recente) è molto diversa. Non abbiamo meriti davanti a Dio, piuttosto il nostro metterci in gioco o meno (trafficare o no i nostri talenti) è premio/punizione a se stesso perché da esso dipende la generatività e ricchezza di senso della nostra vita. Considerando, beninteso, come misura del valore la generazione di valore economico socialmente ed ambientalmente sostenibile.
Tornando alla dimensione sociale, politica ed economica quali implicazioni ? Innanzitutto non accettare povertà e diseguaglianze come dato ineluttabile (o addirittura come colpa degli ultimi) ma lavorare per creare pari opportunità. La non meritorietà dei talenti deve portarci ad abolire incentivi che premiano risultati ? Qui la questione si fa più complessa. Chi crea valore economico socialmente responsabile sta generando un risultato importante per la società che, se opportunamente redistribuito attraverso sistema fiscale e welfare, può favorire il riscatto degli ultimi. Anche se la creazione di valore non è merito personale è socialmente utile e meritoria e va opportunamente stimolata. Il premio/ricompensa a livello teologico spirituale è e resta cosa molto più complessa. Più simile ad un interruttore acceso/spento che ad un bonus. Chi si mette in gioco entra in un percorso di generatività che è già premio a se stesso anche se non compiutamente su questa terra. Chi non lo fa non vi accede. Senza mettere anche questo tassello non si capirebbe l’altra parabola della vigna dove a chi entra nella vigna viene dato lo stessoJK salario (indipendentemente dal fatto che sia l’operaio dell’ultima ora che QUELLI al lavoro dall’inizio della giornata).
Insomma talenti, meriti, ricompense e diseguaglianze sono problemi complessi. Questo il mio stimolo a voi la parola….