Autonomia (così) differenziata: non è questo il tempo

Venerdì, 24 Maggio, 2024

“Tutto ha il suo momento, e ogni evento ha il suo tempo sotto il cielo. C’è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare quel che si è piantato. Un tempo per cercare e un tempo per perdere, un tempo per conservare e un tempo per buttare via. Un tempo per strappare e un tempo per cucire, un tempo per tacere e un tempo per parlare”[1]

Questo non è un tempo per rivendicare parzialmente ciò che la nostra Costituzione prevede o per usare stralci di essa per contraddirla nella sua forma, nella sua sostanza e nel suo spirito. Noi riconosciamo che questo sia un tempo per non confondere, non distrarre, non strumentalizzare, non mentire all’uomo. Nel caso specifico ai cittadini tutti.

Questo è un tempo da impiegare in modo intenzionale, per fare ammenda, in modo serio e responsabile, di tutto ciò che finora non ha funzionato in termini di proposta politica, avanzata dalle diverse forze di partito a livello nazionale e regionale, e di risposta altrettanto politica da parte dei cittadini calabresi attraverso il loro modo di partecipare al bene comune, seppure la sovranità del popolo sia stata negli anni mortificata dall’approvazione di leggi elettorali rivelatesi nocive per la salute della democrazia.

Oggi il voto dei cittadini è a tutti gli effetti un “prodotto semilavorato”, data l’impossibilità che questi hanno di esprimere la volontà attraverso l’indicazione di una preferenza. Il riferimento è alle elezioni politiche.      Cos’ è cambiato rispetto al passato? Le preferenze, oggi, vengono stabilite a monte, dentro la logica dei giochi di partito, frutto non tanto di uno schema politico, bensì di un potere esclusivo e sempre più autoreferenziale. Il voto dei cittadini è così svilito, mortificato, appunto, svuotato di senso. Questa consapevolezza ci fa apparire ancora più incomprensibile l’urgenza di una riforma costituzionale che consenta al cittadino di votare direttamente il Presidente del Consiglio. Ma come? Il cittadino può esprimere preferenze solo in alcuni casi? Perché? Chi può decidere in quali casi egli lo possa fare e in quali altri no? La sovranità appartiene al popolo, ma mentre questa si svuota di “potere”, per le ragioni appena menzionate, un altro potere chiede di essere rafforzato.

Per tale motivo è semmai urgente guardare con attenzione e spirito di verità dentro la realtà dell’astensionismo. Vi troveremo non soltanto persone sfiduciate, deluse, ferite, ma anche impossibilitate materialmente a recarsi alle urne[2]. La creatività delle diverse forze di partito non ha ancora sortito nessun risultato in merito a soluzioni che risolvano tale impossibilità, salvo il provvedimento approvato (in via sperimentale) a favore degli studenti fuori sede per le elezioni europee dell’8 e 9 giugno 2024.

Questo è un tempo per affermare la verità incontrovertibile dei numeri, dei dati statistici, della realtà, delle testimonianze di vita, che certificano, senza paura di smentita, quanto l’attuale maggioranza di governo non lavori nella prospettiva del bene effettivo di tutti i membri della comunità civile. Ricordiamo che l’azione politica deve tendere all’uguaglianza sostanziale in quanto “Per assicurare il bene comune, il governo di ogni Paese ha il compito specifico di armonizzare con giustizia i diversi interessi settoriali … nella prospettiva del bene effettivo di tutti[3].

Facendo eco alla voce della CEC, espressasi lo scorso 25 marzo sul progetto di legge sulla c.d. autonomia differenziata, come ha fatto anche in passato con vari ed accorati documenti sociali, la Rete regionale Calabria di Argomenti 2000, che nasce per contribuire all'evoluzione della cultura politica e democratica nel nostro Paese, afferma “perciò la necessità di un impegno personale e comunitario orientato a riconoscere e a contenere o rimuovere le diseguaglianze che segnano il nostro Paese[4].

Per queste ragioni, leggere l’articolo 1 del disegno di legge sull’autonomia differenziata, di seguito riportato, desta stupore misto a pietà:

“La presente legge, nel rispetto dell’unità nazionale e al fine di rimuovere discriminazioni e disparità di accesso ai servizi essenziali sul territorio, nel rispetto altresì dei princìpi di unità giuridica ed economica, di coesione economica, sociale e territoriale, anche con riferimento all’insularità, nonché dei princìpi di indivisibilità e autonomia e in attuazione del principio di decentramento amministrativo e per favorire la semplificazione e l’accelerazione delle procedure,  la responsabilità, la trasparenza e la distribuzione delle competenze idonea ad assicurare il pieno rispetto dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza di cui all’articolo 118 della Costituzione, nonché del principio solidaristico di cui agli articoli 2 e 5 della Costituzione, definisce i princìpi generali per l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia in attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione e per la modifica e la revoca delle stesse, nonché le relative modalità procedurali di approvazione delle intese fra lo Stato e una Regione, nel rispetto delle prerogative e dei Regolamenti parlamentari”[5].

Lo stupore, per lo scarso radicamento della maggioranza di Governo alla realtà del Paese; la pietà, per l’errore nel quale si indugia, nonostante il faro della nostra Costituzione sia sempre acceso.

Osserviamo, pertanto, che le premesse sono buone solo se poste a cornice di una legge che miri a dare loro effettivo compimento.

Sappiamo bene che il comma 3 dell’art. 116 della Costituzione fu inserito con legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 di modifica del titolo V, parte seconda della Costituzione (Ordinamento della Repubblica) e sembra abbia voluto rispondere, in parte, al c.d. federalismo, presente nel dibattito politico italiano a partire dagli anni ’90;  in realtà mira a realizzare semplicemente quanto previsto dall’art. 5 Cost., infatti: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali … attua … il più ampio decentramento amministrativo”; pertanto, le Regioni, pur avendo assunto pari dignità legislativa nelle materie loro assegnate, sono chiamate ad adempiere l’unico compito della Repubblicadi rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art. 3 co. 2 Cost.).

Siamo qui a discutere, dunque, dell’attuazione di “forme e condizioni particolari di autonomia” delle Regioni a statuto ordinario nelle materie:

1) di legislazione concorrente nelle quali lo Stato determina, comunque, i principi fondamentali (co.3 art. 117 Cost.);

2) esclusive dello Stato (co. 2 art. 117 Cost.), soltanto in riferimento ad alcune di esse: limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, le norme generali sull’istruzione, la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

 

Sebbene il disegno di legge in discussione in Parlamento sia inserito in un quadro normativo che ha come cardini i principi costituzionali di uguaglianza e di autonomia e decentramento amministrativo, rileviamo alcune criticità di attuazione.

 

1.- L’assenza di indicazione di criteri selettivi

 

La prima osservazione che appare dalla lettura del disegno di legge è l’assenza di indicazione di criteri per determinare l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie in questione.

Vero è che la devoluzione di tali materie o ambiti di materie è subordinata alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) riferibili ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti equamente su tutto il territorio nazionale (art. 1 co. 2), ma tale è solo una condizione sufficiente e necessaria da realizzare comunque, che nulla aggiunge alle ragioni che dovrebbero spingere lo Stato a cedere le proprie competenze; non vi sono, insomma,  nel disegno di legge riferimenti ad elementi organizzativi-gestionali, territoriali, di efficienza, di efficacia o di spesa delle Regioni interessate, escluso il principio di sussidiarietà che è già parte dell’impianto costituzionale; né, allo stesso modo, possono essere ritenuti bastevoli i richiami ai principi di differenziazione e adeguatezza (cfr. art. 118 Cost.), trattandosi di legge ordinaria chiamata proprio ad esprimersi compiutamente sulla materia e ad esplicare detti principi.[6]

 

Quanto al termine “federalismo”, esso evoca un complesso di sistemi politici vigenti in tante nazioni del mondo (ad es., negli U.S.A., in Germania, in Svizzera, etc.) con accentuazioni diverse in ragione delle tradizioni storiche dei rispettivi Paesi. In Italia, diversamente, sono previste le Regioni a statuto speciale (5) e le Regioni a statuto ordinario (15); pertanto non si può parlare di federalismo se non in senso amministrativo, c.d. federalismo amministrativo, che ha avuto luogo in tempi successivi attraverso il conferimento alle Regioni e agli enti locali di tutte le funzioni non espressamente conservate allo Stato, per il raggiungimento del massimo decentramento possibile a Costituzione invariata (cfr. d.p.r. n. 616 del 1977; legge n. 59 del 1997 e successivi decreti legislativi attuativi).

 

D’altronde, in proposito, il comma 1 dell’art. 1 del disegno di legge (finalità) dichiara di voler definire i principi generali per il conseguimento del trasferimento di materie, di ambiti di materie o semplicemente di funzioni amministrative ulteriori, ma essi sono già contenuti nel comma 3 dell’art. 116 Cost. e non potrebbero esserne aggiunti diversi; invece occorrerebbe chiarire le ragioni funzionali e strategiche della necessità dello spostamento di competenze aggiuntive dall’amministrazione centrale alle altre Regioni.

2.- Il rischio di gare istituzionali tra organi costituzionali

La seconda osservazione, collegata alla prima, è l’avvio di una contrattazione Stato-Regioni che potrebbe premiare alcune Regioni rispetto ad altre, ponendo le stesse in reciproca competizione, senza che gli enti territoriali svantaggiati possano trarre profitto dall’attuazione della riforma; l’esecuzione di un sì fatto modello di differenziazione aggraverebbe la condizione generale dello Stato, che costituzionalmente nasce solidaristico e richiede “l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” (art. 2 Cost.); in effetti anche “l’attività economica pubblica e privata [può] essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali” (art. 41, co. 3); le Regioni, in sostanza, non sono escluse dall’adempimento dei doveri solidaristici.

 

3.- Il ruolo (sembra) solo consultivo delle Camere

All’art. 2 del testo, che dispone il procedimento di approvazione delle intese fra Stato e Regione, balza agli occhi il ruolo consultivo delle Camere, cui è richiesto di esprimersi, attraverso i competenti organi parlamentari, soltanto con atti di indirizzo (comma 4), mentre il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per gli affari regionali e le autonomie predispongono lo schema di intesa definitivo senza doversi conformare necessariamente agli atti di indirizzo (comma 5); infine, valutato il parere della Conferenza unificata (Stato-Regioni e Stato-Città ed Autonomie locali), ed approvato lo schema di intesa definitivo da parte della Regione interessata, il disegno di legge, cui è allegata l’intesa, è trasmesso alle Camere per la deliberazione; nulla il testo aggiunge in merito ad un eventuale dibattito parlamentare ex art. 72 Cost. .

4.- La determinazione dei LEP

L’art. 3 del disegno di legge prevede una delega al Governo per la determinazione dei LEP da adottare “entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge” (comma 1). La materia è complessa, sia per l’estensione delle materie interessate (norme generali sull’istruzione, valorizzazione dei beni culturali e ambientali, tutela e sicurezza sul lavoro, tutela della salute, governo del territorio, ricerca scientifica, grandi reti di trasporto, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, alimentazione, etc.), sia per i criteri in corso di definizione (in funzione dei costi e fabbisogni standard o della spesa storica o di altri criteri?). La Commissione Europea, che ugualmente intende assicurare i LEP in tutti i Paese europei, a tal riguardo, pare, intenda invece, esaminare l’effettività delle prestazioni erogate per abbattere i divari sociali presenti fra i vari territori, e non limitarsi a coefficienti puramente indicativi di spesa/per numero di abitanti. D’altronde per poter erogare livelli di prestazione correlati alla soglia costituzionalmente necessaria (cfr. art. 1, comma 2, ultima parte), occorre fare i conti con eventuali “maggiori oneri a carico della finanza pubblica [e] si può procedere al trasferimento delle funzioni solo successivamente all’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi di stanziamento delle risorse finanziarie volte ad assicurare i medesimi livelli essenziali delle prestazioni sull’intero territorio nazionale” (art. 4, comma 1). Va da sé che il quadro finanziario risulta ancora più complicato alla luce dei recenti provvedimenti emanati dalle autorità europee che vincolano i Paesi aderenti al “Nuovo Patto di stabilità e crescita 2024”. In breve, il Sud, che giustamente è preoccupato per lo spostamento di risorse verso il Nord del Paese, dovrebbe quindi verificare l’effettiva erogazione dei LEP sul proprio territorio e solo successivamente assentire ad eventuali forme di autonomia rafforzata; il testo assicura comunque che “Per le singole Regioni che non siano parte delle intese approvate … è garantita l’invarianza finanziaria …” (art. 9, comma 3), cioè lo stesso livello di finanziamento pubblico.

5.- Possibili differenziazioni giuridiche ed economiche fra le Regioni

Tuttavia, la maggiore autonomia di cui si discute, pone possibili scenari di differenziazione giuridica tra vaste aree della Nazione a causa di quasi inevitabili comparti normativi differenti risultanti in ciascuna Regione richiedente, riguardanti identiche materie di generale interesse - ad es. l’istruzione o la sanità -, di ostacolo, anche, all’efficienza del sistema produttivo complessivo che richiede semplificazione.

La Banca d’Italia, nella Memoria presentata al Senato sul DDL AS 615, così conclude: “In un contesto caratterizzato da mutamenti di ampia portata nell’economia globale, da condizioni finanziarie diventate meno favorevoli ai Paesi ad alto debito pubblico e – all’interno del Paese – da ampi ritardi accumulati da alcune regioni, andranno valutate attentamente tutte le implicazioni dell’attuazione dell’autonomia differenziata, procedendo quindi con la necessaria gradualità. Diversamente, vi sarebbe il rischio di innescare processi difficilmente reversibili e dagli esiti incerti.”[7]

Da qui il timore di un ulteriore emarginazione economica della Calabria e di vedere compromessa l’offerta dei servizi pubblici.

  Il testo stesso, in discussione in Parlamento, sembra già prefigurare o constatare tutto ciò, ed appronta, da subito, “Misure perequative e di promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarietà sociale” (art. 10, rubrica), sebbene avverta, per evitare possibili equivoci, che “Dall’applicazione della presente legge e di ciascuna intesa non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica” (art. 9, comma 1).

Le recenti affermazioni del Presidente della Regione Roberto Occhiuto, intervenuto lo scorso 17 maggio al Forum 'Verso Sud', organizzato a Sorrento da 'The European House Ambrosetti', sembrano andare nella direzione di un ravvedimento: «Per come è uscito dal Senato, il disegno di legge sull'autonomia differenziata non creerà alcuna opportunità, né per il Nord, né per il Sud».

Ci auguriamo che tale consapevolezza, così viva oggi, non venga smarrita a giugno, dopo l’appuntamento elettorale delle europee.

E dunque, questo è il tempo di rivolgere lo sguardo alla unità e alle condizioni di uguaglianza previste dalla Repubblica, perché sono proprio le ragioni solidaristiche che animano la Costituzione italiana e che fanno grande l’Italia.

Tempo di non distrarre l’attenzione dai diritti della persona umana che è posta, dalla Costituzione, al centro della vita del Paese. L’impegno e il sacrificio quotidiano individuale o in collaborazione d’impresa, ha raggiunto traguardi importanti in questi anni di storia dello Stato democratico.

Tempo di stare insieme nel Paese e nel contesto europeo. Che senso ha stare in Europa se, poi, si fa fatica a stare insieme nel Paese?

Tempo di essere società solidale e non un “posto” in cui l’esercizio della democrazia sia una continua competizione e lotta senza quartiere per la tutela degli interessi a danno dei poveri.

Tempo di riconciliazione tra pensiero politico e azione politica.

Tempo di rileggere il ricco e profondo magistero dei vescovi calabresi sulla questione del Mezzogiorno, di riscoprire il valore formativo dell’educazione alla cittadinanza, di partecipare con interesse alla preparazione della Settimana sociale di Trieste (3-7 luglio 2024) che vede i cattolici in Italia, da oltre cento anni, attenti ai bisogni del Paese: tema di quest’anno “Al cuore della democrazia”.

Tempo di esserci e di partecipare come persone che hanno a cuore la propria dignità e quella altrui; come cittadini che vogliono declinare tale amore in opere coerenti e concrete.

Tempo di amicizia politica, un valore comune, vivibile da tutti, eppure capace di per sé di ostacolare le dinamiche di potere "gretto", cioè di quella dimensione che, nella politica come in ogni altra realtà aggregata, demotiva la partecipazione e il coinvolgimento spostando l'accento dalla logica del servizio al bene comune a quella del tornaconto e dell'interesse individuale.

“Un tempo per amare e un tempo per odiare, un tempo per la guerra e un tempo per la pace”[8].

Su questa strada sarà forte l’impegno fattivo di Argomenti 2000, in particolare della Rete regionale Calabria, per un Paese pacificato nella verità, nella giustizia, nell’uguaglianza, nello spirito della Costituzione di tutti gli italiani.

24 maggio 2024

Argomenti 2000 – Associazione di amicizia politica

                                                    Rete regionale Calabria




[1] Qoelet 3, 1-2; 6-7

[2] Dati Istat rif. voto fuori sede 

[3] Compendio Dottrina Sociale della Chiesa, punto 169

[5] Testo del DDL AS 615 approvato dal Senato il 23 gennaio 2024.

[6] Sul punto è chiarissima la Banca d’Italia nella sua Memoria al Senato sul Disegno di legge AS 615 del 19 giugno 2023, p. 10: “Tuttavia il DDL AS 615, pur facendo chiarezza sui tempi e sulle procedure da seguire, lascia ampi margini di incertezza sugli aspetti di merito … . Sarebbe invece consigliabile prevedere un’istruttoria per ciascuna materia …, suffragata da un’analisi basata su metodologie condivise, trasparenti e validate dal punto di vista scientifico, per valutare i vantaggi del decentramento rispetto allo status quo – sia per la Regione interessata sia per il resto del Paese.

[7] Memoria del 19 giugno 2023, p. 16, cit.

[8] Qoelet 3,8