Autonomia differenziata. Considerazioni storiche sociali e culturali

Mercoledì, 26 Luglio, 2023

Il disegno di legge sull’Autonomia Differenziata si presenta come un passaggio conseguenziale e attuativo di quanto previsto dal titolo V della Costituzione come definito dalla riforma costituzionale del 2001. Se così fosse non si spiega il perché esso susciti interrogativi, discussioni, preoccupazioni. Le questioni sollevate non hanno carattere puramente formale o procedurale, ma appaiono invece di natura sostanziale, tali da mettere in discussione il concetto stesso di autonomia differenziata.

Il perché di questo non può essere spiegato soltanto da un punto di vista tecnico giuridico, legislativo ed amministrativo; impone invece una lettura più ampia, richiede un esame di contesto che motivi i passaggi che portano alle scelte sottese all’attuale disegno di legge. Riteniamo infatti che ad esso non si arrivi né a caso, né per caso.

Presentiamo alcuni passaggi che ci sembra necessario richiamare alla memoria:

a) l’unità d’Italia non è affatto un’unione di territori omogenei sia sul piano socio-economico che culturale: essa si presenta anzi come comunità sociale “differenziata”. La resistenza ad un disegno federativo o federale, che costituisce la prima proposta di unificazione, trova in questo la sua motivazione, ed il federalismo il suo limite e la sua difficoltà strutturale. Il processo generativo nazionale avviene per annessione, da molti storici qualificata come forzata se non imposta. L’Italia nata dal Risorgimento è unita, ma disomogenea, manca di organicità. Non si tratta soltanto di cultura di cittadinanza, gli Italiani da fare, ma di società da fare, di tessuto socio-economico e conseguentemente politico da tessere.

Emergono sostanzialmente “due italie”: l’Italia del Nord partecipe in buona parte del processo di industrializzazione e l’Italia del Sud-Mezzogiorno agricola ed economicamente molto più povera. A ciò si aggiunga la gravissima situazione che presentava il Mezzogiorno sul piano della scolarizzazione.

La necessità politica primaria è quella quindi dell’equilibrio, se si vuole della perequazione: non vi può essere un’Italia unita politicamente senza un’Italia unita anche socialmente ed economicamente.

Le proposte per ottenere questo equilibrio furono diverse, prevalse alla fine quella dell’intervento straordinario con un trasferimento di risorse economico-finanziarie verso le regioni del Sud-Mezzogiorno.

Ciò non riuscì affatto a colmare la forbice, il cui segno più evidente sono le varie ondate di processo migratorio, interno ed estero, che hanno caratterizzato la storia d’Italia ed in particolare della popolazione meridionale;

b) le condizioni dell’Italia all’avvento della Repubblica continuano a registrare le differenze della situazione precedente gravate altresì dal processo di ricostruzione post-bellica. Nella stesura della Costituzione i due principi a cui ci si richiama sono quelli della solidarietà e della sussidiarietà. La valorizzazione delle autonomie locali appare come lo strumento fondamentale di questo secondo principio: la vicinanza alle persone ed alle loro condizioni di vita trova attuazione primariamente attraverso i Comuni e poi anche le Province e le Regioni. In effetti l’attenzione alle autonomie locali è erede di un’importante tradizione municipalista, che poi si estenderà anche agli altri enti di articolazione territoriale. Il compito di garantire l’altro principio spetta invece allo Stato. La combinazione tra solidarietà e sussidiarietà si traduce nell’articolazione stato – autonomie locali. Sono queste ultime a dover costituire lo strumento primario di azione equilibratrice e perequativa, a registrare e segnalare le difficoltà e le differenze, a sollecitare e promuovere azioni di intervento anche dello Stato per rimuovere ostacoli e favorire la crescita armonica della società. Questa doppia sincronia appare anzi come la cifra comune dell’elaborazione e progettualità politica del primo periodo della Repubblica;

c) la nascita delle regioni a statuto ordinario, pur essendo prevista in Costituzione, giunge a compimento solo alla fine degli anni sessanta, tanto che le prime elezioni delle assemblee regionali datano al 1970. Questo parto alquanto ritardato dice delle resistenze che vengono frapposte a questa ulteriore articolazione della comunità politica nazionale: centralismo e regionalismo non sono sempre visti in continuità ma da alcuni anche in opposizione. Cogliere il senso di questa nascita significa domandarsi quale funzione le Regioni sono chiamate a svolgere: sono strumenti di mediazione o organi di rappresentanza? In altri termini, esse fungono da tramite tra lo stato e la società civile o acquistano una capacità di autonomia legislativa ed operativa che va oltre il compito di mediazione? La questione non è solo istituzionale ma anche culturale e sociale. Fino agli anni ottanta le rivendicazioni separatiste o più semplicemente federaliste sono apparse come sporadiche ed occasionali. Negli anni ottanta queste proposizioni si fanno più elaborate ed organizzate. Emergono come rivendicazioni di una gestione autonoma delle risorse e minacciano anche il legame con l’unità dello Stato. Più in generale si ritiene infruttuosa la gestione statalista dell’economia e della finanza anche perché da un lato incapace di migliorare le condizioni di vita personali e sociali e dall’altro responsabile di continuare a spostare risorse verso territori improduttivi del paese.

A testimonianza della rilevanza di questo innesto di sentimenti e prospettive individualiste ed antisolidaristiche basta fare riferimento al documento della Conferenza Episcopale su “La Chiesa Italiana e le prospettive del paese”, al Convegno ecclesiale di Loreto su “Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini”, ed infine all’ulteriore documento del 1989 “Sviluppo nella solidarietà - Chiesa italiana e Mezzogiorno”. Nei due documenti citati come nelle riflessioni del Convegno emerge sia un’analisi attenta e preoccupata del processo di frammentazione della società italiana, sia della necessità di riaffermazione della solidarietà come valore fondante di civiltà e progresso.  Il documento dell’89 per la prima volta in maniera ufficiale viene dedicato dalla CEI alla questione del Mezzogiorno, segno che qualcosa stava cambiando e che era necessario ribadire che la questione meridionale non poteva essere sacrificata ad altro nella costruzione di un paese solidale. Nonostante le spinte individualiste di certi parti politiche e di società, tuttavia ancora alla fine degli ottanta lo strumento istituzionale per coniugare solidarietà e sussidiarietà permane l’articolazione Stato – Autonomie Locali, in cui alla presenza delle Regioni è affidato un compito di mediazione e di intervento in termini di giustizia e di equità sociali;

d) con gli anni novanta vi è un cambio radicale di situazione: non solo per i processi di decomposizione e ricomposizione politiche che in quel decennio si verificano, ma anche per l’accrescersi delle richieste di maggiore autonomia da parte in particolare di alcune regioni del Nord. Qualcuno ha parlato di questione settentrionale in parallelo e quasi in antitesi alla questione meridionale. Sebbene mai si sia giunti a momenti veri di rottura dell’unità nazionale, la richiesta di maggiore autonomia ha trovato udienza anche in sede governativa e parlamentare. Non per caso nel 2001 ha avuto conclusione il processo di modifica del titolo V della Costituzione, l’unica legge di riforma costituzionale organica varata dal parlamento ed approvata anche dal consenso popolare in sede referendaria.

In questo intervento non si farà un esame tecnico di tale riforma, la cui analisi è rimessa a chi di competenza. Qui invece ci permettiamo di sottolineare come tale riforma da un lato sembra voglia rispondere alle richieste di maggiore autonomia da parte delle Regioni e di certa parte della società civile anche organizzata e dall’altro tenta di conservare allo Stato dei compiti di indirizzo e di controllo, senza i quali l’equilibrio sociale non potrebbe essere mantenuto. Che ciò tuttavia non faciliti chiarezza e sicurezza di attribuzione pare analisi condivisa. In ogni caso tale riforma pone le premesse per ulteriori interventi legislativi che determinino con precisione competenze, modalità di esercizio, spazi e tempi di intervento, ampiezza di autonomia e quanto altro. Il legislatore all’atto della stesura non poteva ignorare queste successive conseguenze, che possono ulteriormente rafforzare o invece indebolire il sottile equilibrio che si intendeva realizzare.

Il tutto non è lasciato semplicemente alla volontà del legislatore, ma si innesta nel gioco delle sensibilità culturali, sociali e politiche che si manifestano, intrecciano ed evolvono nello spazio pubblico. Le riforme costituzionali ed istituzionali non sono neutre, appartengono e si innestano in una storia, sono espressioni di idee di società, di progetti di comunità. Se prevalgono sentimenti, idee, progetti di solidarietà e sussidiarietà avremo per conseguenza forme istituzionali che concorrono a tale scopo, se invece le tendenze sono opposte i risultati saranno diversi o anche opposti. È per questo sempre importante e decisivo il processo di mediazione ed educazione culturale. Non si nasce democratici o solidali, lo si diventa. La forza della democrazia è nella cultura che la sorregge, la solidarietà e la giustizia sociale sono proporzionate alle rispettive virtù delle persone che esercitano la cittadinanza. Una città dove l’etica, il buon pensare per il buon agire, e la politica, il buon operare per meglio essere, si distanziano, la conseguenza non può che essere la scomposizione di ogni forma di comunità, la confusione tra diritti attribuiti e diritti acquisiti, il considerare le posizioni di vantaggio come un risultato da mantenere a qualsiasi costo senza interrogarsi sullo svantaggio che altri hanno e che il mio desiderio di attaccamento e conservazione può anche aggravare. Ciò vale per qualsiasi tipologia di relazione, per qualsiasi contesto nazionale o mondiale.

Il disegno sull’Autonomia Differenziata sembra riflettere per molti aspetti tale progetto di società. Equità è una parola forte, impegnativa: una parola antica, che sicuramente ha ispirato ed appassionato gli estensori della Costituzione. È vero che i tempi cambiano ed anche gli umori. Si vorrebbe tuttavia che qualcosa si conservasse e non andasse perduto. Una politica che accresce i vantaggi a che serve? Separare solidarietà e sussidiarietà è negare l’una e l’altra, come scomporre Stato ed Autonomie. Siamo di fronte all’inversione di un processo, come dice qualcuno ad una eterogenesi dei fini. E tuttavia bisogna stare attenti perché l’inversione dei principi e dei fini può riflettersi su chi l’ha provocato e potremmo trovarci di fronte ad una società in cui nessuno sta bene con alcun altro.

Ignazio Guggino - Argomenti2000 Sicilia