Le date contano

Mercoledì, 24 Aprile, 2024
Ricorre quest’anno il centenario dell’assassinio di Giacomo Matteotti: uno degli omicidi di Stato più emblematici del secolo scorso. Un uomo solo, se pure autorevole membro della Camera dei Deputati, viene travolto e fisicamente consumato non tanto dalle mani assassine di uomini votati alla violenza quanto dall’enorme potere gestito dal Governo in carica e dal suo Capo, che è anche il capo del Partito Nazionale Fascista. Ricordare le date per fare memoria degli eventi, dei fatti che hanno segnato, spesso in negativo, la storia del popolo italiano, è doveroso impegno collettivo di anziani, adulti e giovani.
Il ricordo che si fa memoria ha la forza di far rivivere vicende, fatti e storie che si offrono spesso come chiave di lettura per una ermeneutica del tempo presente. Alcune date sono talmente evocative di fatti così importanti che si tingono di colori che restano nella mente e nel cuore di molti perché sono i colori che definiscono un clima culturale, un periodo storico. E tramandano anche un profumo denso, acre, indimenticabile come quello del sangue, e un’eco di voci che s’addensano mischiando le urla delle vittime e quelle dei carnefici. Tutto questo si fa memoria quando si ricorda una data. Nero, come il colore del Fascismo e delle squadre fasciste. Rosso come il colore del sangue versato da Matteotti e dagli oppositori al Partito prima e al Regime dopo. Assordante come le voci atterrite delle vittime e aggressive degli sgherri assassini. Contano la date perché contano gli uomini e le donne che con le loro vite le hanno rese significative, importanti, a volte decisive per il progresso dell’umanità tutta, della civiltà.
Conta, dunque, ricordare il 25 Aprile perché data carica di così tanti colori, odori, profumi, suoni, voci e gesti che non è possibile farla passare invano lungo lo scorrere dei giorni o, peggio, provare a relegarla nell’oblio della memoria o anestetizzarla annacquandone il senso di riscatto di un intero popolo. Riecheggia nell’aria la melodia del canto “Bella ciao” e le parole come per incanto si compongono in strofe cantate, fiorite sulla bocca, ma sgorgate dal cuore, terreno dove sono piantate e germogliano come vite feconda al tempo opportuno, sempre sincroniche a quella primavera del 1945 che vide sbocciare la Libertà in terra d’Italia dopo 20 lunghi anni di dittatura fascista.
Tutto si compone e prende forma nel caleidoscopio della storia che passa e si addensa nelle vite delle generazioni che si succedono tramandandosi l’impegno a ricordare. Tutto si compone e prende forma nel caleidoscopio della Libertà che da una parte viene cercata, ma dall’altra cerca senza posa a chi donarsi. È anelata, è desiderata, è accolta perché in essa risiede un potere straordinario, quello di ridare vita a ciò che sembrava morto: alle ossa aride cui si era ridotto gran parte del popolo italiano, alla carne e ai nervi di uomini e donne che attendevano d’essere chiamati da una forza vitale a vita nuova. Un orizzonte di senso verso cui tendere salendo sulle erte delle montagne per dare battaglia o mimetizzandosi nelle città per iniziare a costruire progetti di democrazia e pace. Dalle vette innevate o dalle valli delle Alpi o degli Appennini giunge sino ai nostri giorni il profumo del fiore del partigiano e il suono rimbombante di scarponi chiodati in fuga o all’attacco, e lo scoppio di granate rubate agli arsenali del nemico nazifascista e contro di lui usate.
A difesa della Patria per la Libertà, sospinti, guidati e orientati dalla Libertà contro chi la Patria la pensava come possesso di parte, prerogativa di un pensiero esclusivo che non sopportava la Libertà per tutti perché la libertà era quella permessa entro i confini definiti dalla prepotenza dello Stato trasformato in dittatura. Ma i colori inondano di festa il Giorno della Liberazione: non si guarda indietro alla striscia di morte e sofferenza, non c’è il tempo per commuoversi di fronte alle stragi delle Fosse Ardeatine o di S. Anna di Stazzema, c’è tempo solo per la festa, fatta di abbracci, di lacrime di gioia, di speranze nuove, inedite per una vita rinnovata, rigenerata e, finalmente, orientata al bene.
Gli orrori della lotta di Liberazione, gli orrori della dittatura e quelli della Guerra sono nel cuore di tutti: dei vincitori e dei vinti. I primi con il cuore colorato di rosso, i secondi di nero. Il nero ha una forza simile a quella dei buchi neri, che tutto, persino la luce, attirano e catturano nell’oscurità più profonda e cupa. Il rosso colora, attira non per nascondere, ma per mettere in mostra. Il rosso colora, il nero incupisce. Ecco, la data del 25 aprile va ricordata perché è esplosione di colori, quelli del Tricolore nazionale innanzitutto, riconsegnato finalmente alla dignità della libertà, ripulito dei segni del privilegio
monarchico e emancipato dalla sottomissione di fatto ai vessilli fascisti, neri, cupi a tal punto da ingoiare la bellezza del rosso, del bianco e del verde. Tripudio di colori anche oggi a ott’anni dalla strage delle fosse Ardeatine, a cento anni dall’assassinio di Matteotti, a settantanove anni dalla Liberazione dall’opprimente dittatura fascista e, poi, dall’occupazione nazista. Le date contano perché conta la storia: storia di uomini e donne che hanno costruito ora il bene ora il male dei popoli, storia di vicende umane che hanno scaraventato nelle profondità della barbarie intere Nazioni; storie di visioni politiche e di ideologie che hanno sedotto le menti di molti in nome di una giustizia che poi tale non era; storie di revanscismi che hanno prodotto guerre infernali perché è mancata una azione diplomatica all’altezza dei tempi e delle situazioni di crisi. Le date contano perché occorre fare memoria.
Contano ancor più quando il presente ripropone modelli culturali e politici già vissuti; quando, come nel tempo attuale, la fascinazione dei nazionalismi tende a distruggere la visione di un comune destino politico, economico e sociale per l’Europa; quando, in tempo di crisi delle democrazie, la seduzione dell’autoritarismo fa breccia nella fragile consapevolezza di molti, chiamati a ingrossare le fila di un neo-fascismo che va addensandosi come nuvole minacciose sul cielo della democrazia. Allora vale la pena ricordare la data del 25 Aprile e, come ripete con forza il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, vale la pena ricordare il motto: “Oggi e sempre Resistenza!” perché è storia anch’esso.