Lo specchio delle lacerazioni di un paese: Berlusconi e l’Italia

Martedì, 13 Giugno, 2023

È molto difficile misurarsi con la scomparsa di una figura come quella di Silvio Berlusconi e uscire dalla retorica, favorevole o contraria che sia, che in queste ore circonda la sua memoria. Che si sia trattato di una figura profondamente controversa e che al tempo stesso abbia influito profondamente sul paese è considerazione quasi lapalissiana. E tuttavia che cosa abbia rappresentato la parabola biografica di quest’uomo, sia come figura dell’imprenditoria italiana sia come protagonista degli ultimi trent’anni di storia politica del paese, è giudizio che non può essere lasciato a pur legittime osservazioni di natura morale e forse nemmeno al semplice giudizio politico. Vi è una valutazione storica, che attiene al modo in cui Berlusconi ha rappresentato la vicenda dell’Italia, le sue tensioni profonde, le sue contraddizioni e certo anche una serie di aspirazioni.

Un approccio del genere consente di cogliere una complessità che non è solo quella di un essere umano ma, se si vuole, di un intero paese, del modo in cui si è rappresentato per anni – imitando il personaggio Berlusconi o avversandolo con durezza –, del rapporto che ha avuto con mutamenti profondi nel modo di fare politica, nei modelli culturali. A guardare tutti questi piani, emerge un’immagine sfrangiata, a tratti lacerata che è forse la migliore rappresentazione di quello che è stata l’Italia degli anni in cui Berlusconi ha rappresentato l’elemento costante del nostro bipolarismo politico. 

La valutazione su Berlusconi è allora una valutazione sulla storia recente dell’Italia, sull’esser stato, il nostro paese, il banco di prova, almeno a livello europeo, di un mutamento profondo nel modo di pensare la politica in regimi democratici. Si è notato da più parti che il fondatore di Forza Italia lascia in eredità il populismo alla politica e in questo vi è del vero, se per populismo si intende una concezione della democrazia fondata sulla delega elettorale al leader e alle sue capacità, che accentua la disintermediazione articolata attraverso la forma partito. E tuttavia l’emergere di questa forma di politica in Italia, dove per trent’anni ha permeato di sé strutture e modelli influendo profondamente – continuando ancora oggi a modellare – forze politiche di tutti gli schieramenti, non è la sola cifra del “berlusconismo”. Vi è infatti un modello di cultura diffusa, che è passato certo per il sistema di telecomunicazioni di cui Berlusconi era proprietario, ma che è arrivato a condizionare anche gli intellettuali, anche solo per reazione. Sono elementi che, a ben guardare, oggi si ritrovano in molti dei “populismi” nati e cresciuti dentro e fuori dall’Europa e che in Italia hanno radici nella crisi che inizia con la fine degli anni Ottanta del Novecento e di cui l’avventura politica di Berlusconi è figlia e interprete.

Tutto questo suggerisce di articolare un giudizio all’insegna della prudenza, che qui non significa il timore e tantomeno la reverenza, ma piuttosto un esercizio di “sapienza”, di intelligenza profonda delle cose, nel loro essere espressione di processi storici, politici, culturali. Perché il giudizio su Berlusconi non può limitarsi a quello sull’uomo, sulla moralità con cui ha attraversato la scena pubblica. E questo alla luce del fatto che per la nostra democrazia repubblicana egli ha rappresentato l’oggetto di un consenso ampio e duraturo, che gli è valso per quasi dieci anni la responsabilità della guida del governo del paese. Le contraddizioni profonde della figura sono allora, in un certo senso, lo specchio di lacerazioni antiche che il paese porta con sé da molto tempo e che non ha mai saputo affrontare e cercare di sanare. In questo senso, misurarsi con questa figura può essere l’occasione per una presa di coscienza storica e politica di ciò che è al fondo della sensibilità del paese.

Riccardo Saccenti
Comitato scientifico Argomenti2000