Papa Francesco: ripensare la “guerra giusta”

Martedì, 5 Dicembre, 2023

Papa Francesco è intervento più volte sul tema della guerra. Nell’enciclica Fratelli tutti (3 ottobre 2020) si legge: «oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile “guerra giusta”» ( n. 258). Il papa ritiene quindi «molto difficile» difendere «i criteri razionali», ma non, evidentemente, impossibile. In continuità con i papi precedenti, non ha mai scritto o detto che non è mai ammissibile l’uso delle armi (come per esempio nei casi di resistenza per fermare un’aggressione armata) e che la condizione del militare è incompatibile con la fede cristiana. In definitiva per papa Francesco occorre ripensare la “guerra giusta”, termine ormai obsoleto perché con la stessa parola, guerra, si definiscono fenomeni che, soprattutto a partire dalla prima guerra mondiale, sono in continua trasformazione. Che senso ha continuare a parlare di “guerra giusta” quando il numero di civili morti è di gran lunga superiore a quello dei militari? Chiarito perché papa Francesco aborrisce l’uso di questi termini, vediamo se propone qualcosa di nuovo. La dottrina della “guerra giusta” conteneva un importantissimo elemento che papa Francesco vuole conservare, la ricerca di limiti e regole entro i quali si può fare ricorso alle armi, ma chiede che si applichi in maniera più stringente e cioè solo in chiave di legittima difesa. Rinunciare a questi criteri equivarrebbe, d’altra parte, a rinunciare a poter esprimere giudizi articolati sui conflitti armati, senza poter più distinguere fra chi ha più o meno responsabilità, chi aggredisce e chi è aggredito. Il papa conferma questi criteri, già contenuti del resto nel Catechismo della Chiesa Cattolica, in più occasioni. Il 15-9-2022, durante la conferenza stampa in aereo, di ritorno dal viaggio in Kazakistan, ad un giornalista tedesco che chiede: “noi a scuola impariamo che non si devono mai usare armi, mai violenza, l’unica eccezione è l’autodifesa. Secondo lei in questo momento bisogna dare le armi all’Ucraina?” papa Francesco risponde: “Questa è una decisione politica, che può essere morale, moralmente accettata, se si fa secondo le condizioni di moralità, che sono tante e poi possiamo parlarne. Ma può essere immorale se si fa con l’intenzione di provocare più guerra o di vendere le armi o di scartare quelle armi che a me non servono più… La motivazione è quella che in gran parte qualifica la moralità di questo atto. Difendersi è non solo lecito, ma anche una espressione di amore alla Patria. Chi non si difende, chi non difende qualcosa, non la ama, invece chi difende, ama. Bisogna anche [considerare] un’altra cosa che ho detto in uno dei miei discorsi: che si dovrebbe riflettere ancora di più sul concetto di guerra giusta”…”La guerra in sé stessa è un errore, è un errore!... Ma il diritto alla difesa sì, quello va bene, però bisogna usarlo quando è necessario”. Una risposta chiarissima, che va letta però in rapporto con altre affermazioni apparentemente contrarie. Quando papa Francesco condanna la guerra e dice che è una “pazzia” (Giovanni XXIII,  nella Pacem in Terris, parla di “alienum est a ratione”) vuol dire che sta rinunciando ai criteri della tradizione e non sa più distinguere fra aggressore ed aggredito con i relativi diritti/doveri di legittima difesa? Non credo, con il termine “pazzia” papa Francesco vuole denunciare con forza che nella guerra moderna si è ormai persa ogni misura, proporzione, distinzione, come nella pazzia non ci si autocontrolla più, non si è più responsabili dei propri atti. Non si è più in grado quindi di rispettare quei criteri che si sono pure astrattamente e per principio riconosciuti. Non a caso papa Francesco usa il termine “pazzia” in contesti precisi come, per esempio, in udienza generale il 24-9-2022: “Tanti feriti, tanti bambini ucraini e bambini russi sono diventati orfani. La orfanità non ha nazionalità, hanno perso il papà o la mamma. Siano russi, siano ucraini. Penso a tanta crudeltà a tanti innocenti che stanno pagando la pazzia, la pazzia, la pazzia di tutte le parti, perché la guerra una pazzia. E nessuno che è in guerra può dire: "No, io non sono pazzo". La pazzia della guerra”. Dispiace che sulle parole del papa non si stia riflettendo adeguatamente, dispiace ancora di più che fra i laici cattolici non si sia aperto alcun confronto plurale fra chi, a me pare senza fondamento, associa papa Francesco al mondo dei pacifisti, “senza se e senza ma”, e lo sostiene sulla base di questa convinzione, e chi pensa le stesse cose sul papa diventato pacifista, ma non le condivide (magari senza criticarlo pubblicamente) perché ritiene che abbia rotto con la tradizione cattolica. Sarebbe urgente accogliere le parole del papa sulla necessità di ripensare la categoria di “guerra giusta”, per superarla certo, ma mantenendo ancora ciò che di buono contiene e non dimenticare mai di lasciare senza protezione l’inerme schiacciato dalla violenza più insensata. Di fronte al male pubblico si devono usare, innanzitutto, tutte le possibili tecniche non violente, che richiedono comunque tempi e una preparazione non inferiore a quella militare, ma poi, purtroppo, se si vuole restare responsabili della comunità di cui si fa parte, non si può mai escludere del tutto l’uso della forza armata.  A 90 anni dall’ Holodomor, il 24 -11-2022, con una Lettera al popolo Ucraino a nove mesi dallo scoppio della guerra, papa Francesco scrive: “Sulla vostra terra, da nove mesi, si è scatenata l’assurda follia della guerra… penso poi a voi, giovani, che per difendere coraggiosamente la patria avete dovuto mettere mano alle armi anziché ai sogni che avevate coltivato per il futuro… Pur nell’immane tragedia che sta subendo, il popolo ucraino non si è mai scoraggiato o abbandonato alla commiserazione. Il mondo ha riconosciuto un popolo audace e forte, un popolo che soffre e prega, piange e lotta, resiste e spera: un popolo nobile e martire”. Più chiaro di cosi!

Si sono cioè persi di vista proprio quei punti fermi costituiti dalla ricerca di limiti e regole tipici della guerra giusta. Qualche anno fa è stato pubblicato un libro su come è scoppiata la prima guerra mondiale, il titolo del libro, I sonnambuli, può aiutarci a comprendere cosa intendono i due papi con pazzia. Nel 1914 Re, imperatori, ministri, ambasciatori, generali, chi aveva le leve del potere era come un sonnambulo, apparentemente vigile ma non in grado di vedere, cieco di fronte alla realtà dell’orrore che stava per portare nel mondo (le spallate del generale Cadorna ci sono costate un numero di morti e feriti). Quindi quando si scatena una guerra si impazzisce aldila di chi aggredisce e chi si difende perché i propri comportamenti sono incontrollabili. Di fronte ad un’aggressione armata, tanto più quando ci sono da difendere persone incapaci di difendersi (bambini, malati, vecchi) o si offre come protezione un’alternativa alla difesa armata oppure non si può pretendere la resa. Non mi risulta inoltre che la Chiesa cattolica abbia mai promosso il disarmo unilaterale per quanto non solo l’uso della bomba atomica ma perfino il solo possesso sia considerato immorale (papa Francesco).

La presunta contrapposizione fra la prospettiva di papa Francesco e quella del cardinale Parolin non regge più nel momento in cui uno come il papa deve tendere ad una visione di radicalità evangelica mentre l’altra riguarda la sfera più diplomatica-istituzionale.

In Francesco ritroviamo la riproposizione tipica dei papi precedenti da Pio XII in poi: deplorazione della guerra come grande male, attivazione canali diplomatici per avviare possibili mediazioni fra le parti, promozione assistenza umanitaria nei confronti di tutte le vittime, coinvolgimento dei fedeli a pregare per la pace. Le novità in papa Francesco non riguardano queste diverse fasi ma in alcune modalità e segni.

La teologia della guerra giusta è entrata in crisi a partire soprattutto dalla prima guerra mondiale quando l’impiego degli aerei da bombardamento ha fatto saltare il limite più importante di questa teologia e cioè anche bambini, malati, vecchi, donne venivano colpiti non in maniera marginale (quanti civili sono coinvolti?). Con le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki la crisi di quella teologia è inevitabile. Che rapporto di proporzionalità può esserci quando gli aerei bombardano a tappeto le città o si fa ricorso alle armi nucleari?

Ma se i laici cattolici non tornano ad occuparsi di politica, quella del papa sarà una voce nel deserto. Fare marce va bene, ma se anche chi ha a cuore il tema della pace rinuncia a svolgere un ruolo politico nella società per cercare di risolvere con proposte concrete i problemi più urgenti (per esempio la riforma dell’ONU che così non funziona affatto) sarà difficile immaginare un futuro migliore per l’umanità. C’è chi invoca la non violenza come se fosse possibile applicarla improvvisamente e non fosse piuttosto il risultato di un lungo processo di preparazione e maturazione sul “campo”. Nessuno può tirarsi indietro e dire che non sapeva nulla: il conflitto fra Russia ed Ucraina risale almeno al 2014 e in questi anni si sarebbe potuto dar vita ad un movimento della società civile nei diversi paesi europei per sostenere il protocollo di Minsk e porre fine al conflitto nel Donbass. Nella situazione attuale chi può immaginare carovane della pace quando ci sono da fermare missili e carri armati?

Ciò che è mancato in questi mesi è la diplomazia sul modello di quella realizzata da Giorgio La Pira. Una diplomazia profetica parallela a quella degli Stati. Alla domanda su che cosa si poteva fare per evitare la guerra, dobbiamo quindi provare a rispondere tutti, non solo gli Stati, ma anche come cittadini. Forse non sarebbe servito a nulla e, probabilmente, l’autocrate Putin avrebbe invaso comunque l’Ucraina, ma chi crede al metodo non violento non può eludere questa questione: se l’Unione Europea, gli Stati Uniti, la Nato, hanno almeno una parte di responsabilità, che responsabilità hanno i movimenti e l’associazionismo nel non avere almeno provato ad allontanare la guerra? Dagli anni cinquanta, come sindaco di Firenze, La Pira promosse, unico in occidente, convegni per favorire contatti fra esponenti politici di tutti i paesi. Erano quelli gli anni della guerra fredda, quando i due blocchi est ovest si contrapponevano frontalmente e favorire momenti di dialogo appariva quanto meno sospetto. Dopo l’esperienza di sindaco, conclusa nel 1965,  continuò ad intrecciare, fra polemiche e contrasti, lettura storica e profetica delle vicende umane. Per  La Pira la ricerca della pace non può essere affidata solo agli Stati, devono essere le città di ogni continente ad allearsi per unire le nazioni e sviluppare così percorsi di pace. Il futuro secondo La Pira appartiene alle città non agli Stati ed è quindi nella città che ogni cittadino deve impegnarsi innanzitutto, prima che scoppi un conflitto, prima che sia troppo tardi, per evitare che le tensioni degenerino in guerre.