Riforme e contraddizioni

Venerdì, 31 Maggio, 2024

Il ddl sull’Autonomia differenziata, una volta approvato dal Senato sta facendo il suo costituzionale percorso. Siamo ora in attesa delle conclusioni che speriamo interpellino anche i cittadini. Una legge voluta da Salvini e Calderoli, dopo un tacito baratto con la Meloni e La Russa sul loro Premierato. Quest’ultimo nel non tanto velato ricordo del loro mentore Giorgio Almirante, che, reduce della Repubblica fascista di Salò, chiedeva un vero e proprio presidenzialismo. Insomma: “…i soldi che produco io sono solo e soltanto miei; e in Italia…occorre un capo unico forte e veloce”.

Che il Nord Italia, nonostante che Cavour ce l’abbia messa tutta e col pieno di giovani bergamaschi fra i mille di Garibaldi, non avesse mai potuto digerire il meridione d’Italia, era cosa nota. Povero Garibaldi! A saperlo, arrivato a Marsala avrebbe fatto una buona bevuta di quel vino liquoroso che piaceva molto agli inglesi, e poi se ne sarebbe tornato verso Quarto.

Ma la vera chicca di questa incomprensibile ripulsa antimeridionale è riposta nel fatto che questa inimicizia mista a un razzismo nascosto a fatica, si è  trasferita non tanto sulle regioni meridionali, sui loro territori, sulla loro economia, ma proprio e soltanto sui meridionali. Sui terroni. Sui suddisti. Sugli zotici e  cafoni.  Insomma su coloro che è bene definire “differenti…da noi settentrionali”. Anche perché sono forse più scuri di faccia.

Esagero? Ebbene sì, lo riconosco! Ma non dobbiamo scandalizzarci troppo. Perché la faccenda delle “differenze” regionali non parte dalla legge in discussione che potrebbe nascondere altre finalità. Essa in realtà è molto vecchia. Sono andato a vedere. Quando nel 1984 nacque la Lega di Bossi con la sua “Repubblica del Nord” e con le magliette su cui era scritto “Prima il Nord”, nel settentrione erano già presenti ben 6 movimenti regionalisti e autonomisti: Veneto, Lombardia, Piemonte, Liguria, Emilia-Romagna, e Toscana. Seguirono solo dopo le sceneggiate di Pontida. Con i cartelli pieni di “Nord”; con i giuramenti dei leghisti vestiti da Vichinghi; con i loro copricapi con le corna; e con gli attivisti in pantaloncini e barba tinta di verde nel ricordo dei loro barbari antenati scandinavi. Di quel popolo, cioè, che come dicono gli storici compiva stragi e piraterie in Europa rubando e depredando. E con i leghisti presenti in quei giuramenti, che ignoravano totalmente la meridionale Magna Grecia, assieme alla storia della ancora più meridionale democrazia ateniese. Realtà quest’ultima, che ha seminato un piccolo germoglio per la cultura europea, e a ben vedere ha piantato le radici della democrazia moderna.

Forse è allora bene ricordare che anche moltissimi anni prima di Pontida e già dai primi anni ’60, ci sono stati nel Nord Italia forti segnali di antimeridionalismo. Quando per esempio in una bella città epicentro dello sviluppo industriale italiano come Torino, e in un Paese in pieno boom economico come il nostro, non si affittavano le case a chi veniva dal Sud: “Non si affitta ai meridionali”, erano i cartelli diffusi in quasi tutti i quartieri torinesi di quegli anni. E questo, paradossalmente, proprio mentre la Fiat per espandersi assorbiva mano d’opera meridionale.

Una avversione inspiegabile, spesso di origine psicotica, trascinatasi sino ai giorni nostri, quando veniamo a sapere che appena qualche anno fa a Padova, a Pordenone, a Venezia, sono comparsi cartelli analoghi. E quando il Tgr Rai della Puglia – poco prima del silenzio voluto dalla lottizzazione “melon-salviniana” – denunciava che a Milano una studentessa di Foggia è stata cacciata da una padrona di casa antimeridionalista, che una volta intervistata sul perché, si è giustificata dichiarandosi “…salviniana e razzista”. E che pertanto, non voleva avere nessun rapporto con i meridionali.

Pericoli per la mescolanza di razze supposte diverse anche queste? Non credo molto. Ma in ogni caso pericoli. Devo però a tale proposito dire di più. Perché i moniti sulle tragedie della “sostituzione etnica” che rimbalzano in bocca al cognato della Meloni Lollobrigida, oggi Ministro, ci fanno ora piena compagnia. Ai giorni nostri, infatti, i cartelli delle città del Nord sono cambiati. Niente più “Non si accettano calabresi e siciliani”, ma “Non si affitta ai musulmani”; Non si affitta agli stranieri”; “Non si affitta agli emigranti”; “Non si affitta ai Neri”. E con l’aggiunta: “Qui siamo cristiani”.

Insomma un nostro futuro senza neonati, ovvero con un tasso di natalità ai minimi termini. Con i nostri figli sfamati e sazi che vanno all’estero, mentre respingiamo i figli degli altri che arrivano qui da noi per sfamarsi, e che tuttavia è bene trasferire in altre nazioni. Cacciarli o rinchiuderli. Intendiamoci: sbandati e pericolosi ce ne sono dappertutto. Senza dubbio. Ma sono le soluzioni estreme dei trasferimenti pagati, che lasciano perplessi. Tutto ciò mi rimanda in conclusione alla bella metafora delle tantissime formiche nere che arrivano dentro casa nostra – tutte uomini e donne in carne ed ossa –  che conviene spazzarle via con un aspirapolvere.

Un traslato utilizzato giorni fa dalla filosofa Francesca Rigotti su questo blog, per spiegare gli accordi tra la Meloni e il presidente Albanese Rava, finalizzati, con tanto di compensi, a trasferire nei “…campi di concentramento” albanesi tutta la carne umana che sbarca in quella siciliana Lampedusa da premio Nobel. Cosi come è da premio Nobel il calabrese Mimmo Lucano, che ha avuto l’infelice idea di fare accomodare nel suo paesino e nel corso di pochi anni ben 400 stranieri, oggi presenti fra i 1800 abitanti di Riace. Dando loro una casa e un lavoro. E così risollevando nello stesso tempo l’economia del posto. Ma benché di fronte a difficoltà giudiziarie prive di sostanza, dimostrando quei valori di accoglienza solidale e di quella ospitalità tipiche di tutti i meridionali, che non si sono mai sognati di scrivere sulla porta: “Non si accettano settentrionali”. Valori, questi, molto facili da scovare leggendosi la “Fratelli Tutti” di quel Bergoglio…in attesa del Giubileo.