Un piano per l’Africa condiviso deve avere più fondi e “visione’

Lunedì, 8 Gennaio, 2024

Del Piano Mattei si è discusso molto alla Conferenza degli amba­sciatori e ambasciatrici, e meno in Parlamento, anche se entro il 14 gen­naio verrà approvato il decreto per la struttura di missione del Piano Africa. Giorgia Meloni ha sempre presentato il Piano Mattei come uno degli obiettivi di legislatura, ma an­che perché in un momento in cui sono cresciuti i rischi di instabilità globale, l’Italia deve rilanciare una grande iniziativa politica volta a fa­vorire la cooperazione interazionale. E questa non può non avere come epicentro l’Africa. Il futuro dell’Italia e dell’Europa si gioca qui. Più del 40% del gas che consumia­mo proviene da quel continente. Più dell’80% dei migranti irregolari nel 2023 è arrivato in Italia da porti afri­cani. Nel 2023 la Russia ha infiltrato e contribuito alla destabilizzazione di un gran numero di Paesi della cin­tura sahariana. Quindi, anche dall’opposizione, è giusto contribui­re a questo obiettivo strategico del­la politica estera con idee, suggeri­menti e, se necessario, critiche.

Non è la prima volta che un presi­dente del Consiglio punta sull’Afri­ca. Lo aveva fatto Romano Prodi nel 2007, e così Matteo Renzi tra il 2014 e il 2016, aprendo 5 nuove ambasciate e riformando la legge sulla cooperazione allo sviluppo. Meloni ha il merito di aver capito che serve una strategia plurienna­le sostenuta da strumenti definiti. Purtroppo, però, al di là di questa intuizione, il piano Mattei resta un enigma avvolto in un mistero. Per ora si è capito che comanderà Pa­lazzo Chigi, e non è una novità. Co­me su tanti altri dossier, la Farne­sina è stata bypassata al pari di al­tri strumenti finora utilizzati per la cooperazione allo sviluppo. La nuova struttura ci metterà almeno sei mesi per iniziare a lavorare e non se ne conoscono strategia, obiettivi, risorse.

Per quanto riguarda la strategia, gli annunci della premier fanno pen­sare che il Piano Mattei sia soprattut­to diretto a favorire gli investimenti nel continente, con una attenzione particolare all'approvvigionamento energetico. Francamente, questa sembra una visione un po’ datata e

oggi inadatta alle esigenze dei Pae­si africani più rilevanti per gli interes­si italiani. Decidere contempora­neamente di iniziare una politica di investimenti nell’energia fossile afri­cana mentre si sta stressando la no­stra economia per fuoriuscirne il pri­ma possibile richiede almeno un supplemento di riflessione. Poi, quanto è realistico pensare che ci siano imprenditori pronti a investi­re nei Paesi della fascia saheliana, da cui partono o transitano i migran­ti, che ha visto cinque colpi di stato negli ultimi 18 mesi? Anche Paesi tradizionalmente stabili e legati all’Italia (Senegal, Etiopia, Mozam­bico) vivono crescenti conflitti inter­ni. Perché non pensare invece a un investimento, utile seppur contenu­to nelle risorse, in mediazione? Un campo in cui tra l’altro l’Italia, con­tando sia sulle capacità della Farne­sina sia della società civile (a partire da Sant’Egidio, ma non solo) è riu­scita a ottenere notevoli risultati nel continente (la pace in Mozambico del 1992, la mediazione in Repubbli­ca Centroafricana, la Rete delle don­ne mediatrici del Mediterraneo).

Per quanto riguarda le risorse, sen­za soldi non si fa niente, tantomeno una tangibile politica per un conti­nente grande 10 volte il nostro con 23 volte la popolazione italiana L’Ita­lia è da anni il fanalino di coda degli aiuti allo sviluppo, nonostante gli au­menti deliberati dai governi Renzi, Gentiloni e Draghi. Il governo Me­loni, che tra le prime iniziative ha ta­gliato i fondi per la cooperazione nella legge di bilancio dello scorso anno, deve darsi un programma plu­riennale di stanziamenti che per­metta all’Italia di raggiungere l’obiet­tivo dello 0,70% del Pii per l’aiuto al­lo sviluppo entro il 2030.

Infine: la nostalgia può diventare una trappola. Spendere il nome di uno straordinario italiano, antifasci­sta, pragmatico e visionario può su­scitare suggestioni, persino simpa­tie, ma l’Italia e l’Africa non sono più quelle di Enrico Mattei. Non può esi­stere una politica africana dell’Italia senza o contro l’Europa. Il grande progetto dell’Italia per l’Africa non può che essere un progetto dell’Eu­ropa di mediazione e stabilizzazio­ne con l’Africa.